Il poeta e letterato Giovanni Pascoli la definì ‘pane dei poveri’ e in effetti, guardando indietro nel tempo, non si può che convenire sul fatto che la castagna (Castanea sativa) ha praticamente da sempre riscaldato gli autunni di molte tavole contadine e popolari. Caratterizzata da una forma particolare, piatta da un lato e leggermente bombata dall’altro, la castagna ha una polpa chiara e farinosa ricoperta da una pellicola rossastra e una buccia marrone sottile ma resistente: il tutto è racchiuso in un riccio verdastro. Al contrario di quanto si crede, la castagna non è un frutto, bensì il seme contenuto nel riccio, che a sua volta è il vero frutto dell’albero, ovvero il castagno.
Gli antichi Greci, che la conoscevano bene, la importarono in Sicilia con discreto successo tanto che, da lì, si arrivò poi gradualmente alla comparsa dei primi castegneti veri e propri, la cui presenza si attesta storicamente in Campania: manoscritti risalenti al periodo compreso fra XI° e XII° sec., in particolare, riferiscono di quelli nei Picentini, creati e gestiti dai monaci Benedettini.
Dolce e sostanziosa (contiene ben 200 kcal ogni 100 gr), la castagna si è fatta spazio nella tradizione rurale e in quella montanara diventando la protagonista di piatti sia dolci che salati, in primis marron glacé, zuppe, crostate, caldarroste e castagnaccio: davvero molto ricca di amidi e di zuccheri, dal punto di vista nutrizionale presenta anche tracce interessanti di potassio, fosforo, calcio e vitamine, ed ha inoltre un alto potere in termini di digeribilità.
Dal profilo strettamente salutistico, il consumare castagne è consigliato soprattutto nel caso di stati di anemia, stitichezza, esaurimento nervoso o anche spossatezza fisica: il potassio contenuto nella polpa, infatti, è coinvolto in processi fisiologici importanti, come appunto la trasmissione degli impulsi nervosi o anche la contrattilità dei muscoli. Di contro, le castagne sono invece sconsigliate a chi soffre di gastrite, aria nello stomaco e colite.